Una delusione annunciata:
il Segretario della CGIL ha ribadito la sua posizione sulla TAV, non è più tempo di infingimenti e speranze... neanche per chi aveva confuso le lotte sindacali con le lotte di civiltà.
Dal Presidio
No Dal Molin:
La lotta che da oltre vent’anni vede contrapporsi la stragrande maggioranza degli abitanti della Valsusa al progetto della Tav parla a tutte e tutti noi, perché in conflitto ci sono
due modelli di sviluppo, nettamente antitetici tra loro.
Rimandiamo all’abbondanza di materiale prodotto in questi anni per avvalorare le tesi di chi è contrario all’opera. Allo stesso tempo, non si può dire che i favorevoli alla Tav siano stati in grado di motivare la loro posizione, se non ricorrendo al solito mantra ideologico da ripetere in ogni occasione. (il progresso, l’Europa che lo impone e dalla quale rischieremmo di rimaner fuori, la ricchezza che si produrrebbe etc.).
La questione della Tav assume un carattere paradigmatico, perché racchiude in sé tutti i tratti di un modello di sviluppo onnivoro e distruttivo, che si impone con un uso inaudito della forza e della repressione da parte dello stato, attraverso meccanismi che esautorano le comunità locali dalle scelte che direttamente li riguardano, arrivando a minare il concetto stesso di democrazia.
Con l’uso di mostruosità giuridiche come la legge n. 443 del 2001 (cosiddetta legge Obiettivo), dichiarando queste opere quali “strategiche e di preminente interesse nazionale”,
arrivando addirittura a schierare l’esercito per difenderne i siti e i cantieri, si vuole imporre un modello di sviluppo che in tutti questi anni, è stato sinonimo di malaffare, di spesa pubblica a vantaggio dei privati (ancor più con la pratica del project financing, strumento caro a G. Galan già governatore del Veneto e poi ministro) e di distruzione del territorio e dei beni comuni.
Quindi,
il modello che ha provocato la crisi, e che qualcuno ancora oggi vorrebbe far passare come salvifico, grazie anche all’insipienza generale dei mass media, schierati e allineati con i grandi gruppi economici impegnati in questi progetti e destinatari delle enormi risorse economiche che lo stato, e quindi tutte e tutti i cittadini italiani, mettono a loro disposizione. (vedi la Cooperativa
CMC che ha diretto i lavori della Base militare USA Dal Molin).
Questo meccanismo perverso si manifesta, non solo in Val di Susa, ma ovunque. Che si tratti di una discarica come nel caso di Chiaiano, la Tav o la
Pedemontana (per tornare da queste parti), la dinamica è la medesima, e chi vi si oppone è considerato come un criminale.
Per uscire da questa logica folle e distruttiva, emerge la necessità di un vero e proprio cambio di paradigma, per affermare che un altro modello di sviluppo non solo è possibile, ma è ormai necessario.
La direzione è tracciata dall'ultima straordinaria tornata referendaria e dalla necessaria e non più procrastinabile, affermazione del concetto di
bene comune, che confligge con la pratica predatoria e privatistica dell’interesse particolare e della mercificazione di ciò che è collettivo.
Bisogna capire bene qual è la posta in gioco, e decidere da che parte stare.
Il prossimo 17 marzo ci sarà una grande manifestazione a Montecchio Maggiore(VI) contro l’autostrada Pedemontana, un'altra "grande opera" distruttiva. Una manifestazione di opposizione a quel devastante progetto e alla logica che lo impone, la stessa che vorrebbero in Val di Susa.
No alle Grandi Opere, no alla distruzione dei beni comuni, no alla repressione dei movimenti, perchè il diverso mondo possibile al quale in tanti aspiriamo, si fonda su un modello di sviluppo opposto, rispettoso dell’ambiente, fondato sulla democrazia e sulla partecipazione, sulla piena agibilità dei movimenti.